Avendo tre figlie di 12, 8 e 6 anni, diventa sempre più difficile il mio ruolo di padre-educatore, perché corro spesso il rischio di riversare su loro le mie idee, senza attentamente valutare le loro posizioni. Con il passare del tempo, mi sono accorto che Amare i figli significa amare la loro libertà.
Mi piace paragonare la crescita delle mie figlie allo sviluppo di una piantina, curata dal giardiniere. La pianta non cresce perché il giardiniere si impegna ad allungarla, ma perché assimila tutto ciò che la alimenta.
Questo presuppone inevitabilmente correre un rischio, quello causato proprio dalla libertà dei figli.
Unicamente così la loro crescita sarà propriamente loro, non un automatismo o un riflesso condizionato dalla coercizione o dalla manipolazione.
Amare la libertà dei figli è dunque cosa del tutto diversa dall’avere una spensierata indifferenza circa il modo in cui la utilizzano.
Con le mie figlie, con delicatezza e con fermezza, le invito a fare uso delle proprie capacità in modo tale da crescere come persone. Una buona occasione si presenta quando chiedono il consenso per determinati progetti; allora le rispondo che spetta a loro prendere la decisione, dopo aver ponderato tutte le circostanze.
Non è logico esigere il rispetto della libertà umana se prima non si decide di rispettarne le conseguenze, di farle proprie. Un autentico rispetto per la libertà deve incoraggiare l’impegno intellettuale e le esigenze morali, che aiutano la persona a vincersi, a lottare con efficacia.
Dare fiducia e incoraggiare, con pazienza, dà i risultati migliori. Anche nel caso estremo in cui il figlio prenda una decisione che i genitori ritengono a ragione errata e prevedibile fonte di infelicità, nemmeno allora la soluzione sta nella violenza, ma nel comprendere e – più di una volta – nel saper rimanere al suo fianco per aiutarlo a superare le difficoltà e trarre eventualmente da quel male tutto il bene possibile.
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